Abside

Nella zona absidale, sul muro a destra dell’altare, si vede la Lapide commemorativa di Clemente XI con il busto del Papa di profilo in stucco, inserito in un ovale di paragone nero affiancato da due putti reggicortina. Di fronte, sulla parete opposta, la Tomba di Urbani III il papa morto a Ferrara nel 1187, è stata sistemata qui nel 1712 quando venne rialzata la pavimentazione della tribuna. Nell’anno successivo sono stati realizzati il busto del Papa e gli ornati uguali a quelli della lapide di Clemente XI dallo scultore bolognese Filippo Bezzi. A fianco le due cantorie gemelle in legno policromo, con festoni di fiori e frutti e gli stemmi del cardinale Ruffo, nel 1731 sono state intagliate, su disegno dell’architetto Agapito Poggi, dallo svizzero Cassiano Oler, che aveva realizzato anche il Crocifisso con putti collocato nella sagrestia dei Mansionari, che si trova alla base del campanile. Dai muri laterali del coro nel 1735 sono state tolte le celeberrime portelle realizzate da Cosmè Tura nel 1469 per l’antico organo della cattedrale. Le rappresentazioni del San Giorgio uccide il drago e dell’Annunciazione dell’Angelo a Maria, sono state dipinte sugli sportelli del­l’organo costruito dal maestro organaro Fra Gio­vanni da Mercatello e per le parti lignee da Rinaldo da Firenze, a cominciare dal 1465. Si ritiene che il nuovo organo nel 1468 fosse stato collocato al centro della zona absidale, dietro il coro, al di sopra di una decorazione ad affresco o ad altorilievo marmoreo raffigurante il Cristo Gesù. Già nel 1470, probabilmente a causa di una resa acustica non del tutto ottimale, si risolve di trasportare l’organo “sotto l’arco ottavo della nave maggiore dal lato sinistro di chi entra” in cattedrale. Numerose sono poi le modifiche e le aggiunte apportate allo strumento e diversi i restauri necessari fino al 1712, quando cominciati i lavori della ristrutturazione interna del Mazzarelli, l’organo viene del tutto smantellato. Nel 1731 si provvede a realizzare un più moderno organo, rifatto in parte con le antiche canne dal celebre maestro d’organi Domenico Fedeli da Camerino e collocato sopra le nuove cantorie del coro, costruite come si è detto dall’architetto Agapito Poggi, con intagli di Cassiano Oler. Le tele delle portelle, in origine perfettamente sovrapposte per l’adesione dei telai, con il San Giorgio raffigurato all’esterno, ad ante chiuse, e l’Annunciazione all’interno, ad ante aperte, sono la prima opera datata con certezza di Cosmè Tura e sicuramente il capolavoro del più grande maestro della “officina ferrarese” (Ferrara, Museo della Cattedrale).

Lungo l’intera curva absidale rossettiana si snoda il grande Coro in legno di noce a tre ordini di 132 stalli, commissionato nel 1501 dal duca Ercole I d’Este a Bernardino Canozi da Lendinara per l’esecuzione dei pannelli intarsiati, a Pietro Rizzardi (detto anche dalle Lanze o dalla Massa) e a Sebastiano Rigone per l’approntamento delle strutture lignee. Alla morte del Canozi (1507) l’incarico passò al figlio Daniele e dopo svariate e prolungate traversie il grandioso complesso venne completato nel 1524. Mancava ancora, al centro del coro, la cattedra vescovile realizzata negli anni 1531-33 da Ludovico da Brescia e Luchino di Francia in conformità agli stalli precedenti, ma secondo il rinnovato gusto manierista; è composta da due colonne con capitelli corinzi che sorreggono una trabeazione spezzata fortemente aggettante rispetto alla spalliera, la cui tarsia è incorniciata da decorazioni a grottesche. Nella lunetta della cimasa, conclusa da una danza di putti tra volute di foglie d’acanto, il San Giorgio uccide il drago. Gli stalli superiori sono divisi tra loro da colonnine corinzie che sorreggono una sorta di trabeazione su cui poggiano archetti che racchiudono valve di conchiglia e sono conclusi da una cimasa a volute e fogliame; nelle tarsie dei postergali si vedono una serie di scorci prospettici urbani (parte dei quali ancora facilmente riconoscibili, come il Castello o lo scalone ducale del Palazzo del Municipio), alternate alla rappresentazione degli sportelli di  credenza da sagrestia, aperti a mostrare vari oggetti liturgici, tra cui si distingue il Braccio di san Maurelio, prezioso reliquiario cesellato in  argento nel 1455, in occasione della solenne traslazione delle reliquie di san Maurelio dalla chiesa di San Giorgio alla cattedrale (Ferrara, Museo della Cattedrale). Le tarsie dei due ordini inferiori invece, ripetono motivi tradizionali del repertorio decorativo lendinarese a intaglio, inframmezzati dal rettangolo composto di “diamanti” accostati (impresa di Ercole I) e dal riquadro con la granata fiammante (impresa di Alfonso I). L’ampio semicerchio absidale, al di sopra del coro ligneo, presenta la vasta decorazione a stucco, interrotta dalle sei finestre rossettiane chiuse da vetrate recenti (1955), realizzata nel biennio 1583-84, sotto la direzione dell’architetto Alberto Schiatti, da Agostino Rossi e da Vincenzo Bagnoli e preziosamente indorata da Giulio Bongiovanni e Paolo Monferrato. Inserite in grandi ovali con cornici floreali, arricchite da festoni di frutti e sorrette da due atletici angeli, si vedono le immagini a figura intera di San Giorgio, San Maurelio e dei quattro Evangelisti. Alla decorazione a stucco, che doveva servire a definire lo spazio della curvatura muraria, si era cominciato a pensare fin dal 1580, anno in cui il pittore Sebastiano Filippi, detto il Bastianino, aveva terminato di affrescare il catino absidale con l’immenso Giudizio universale. Di chiara ispirazione michelangiolesca, questa grandiosa orchestrazione di corpi in un cielo temporalesco, quasi in un gorgo vorticoso attorno alla figura del Cristo affiancato dalla Madonna, è senza dubbio il capolavoro dell’artista ferrarese: qui egli “dispiega tutta la potenza del suo singolare ingegno, rivelando una fantasia, una forza drammatica, un anticonformismo e persino una certa ambiguità” (E. Arcangeli) che ne definiscono la grandezza e la modernità.

L’arte della tarsia rinascimentale ha raggiunto a Ferrara uno degli esiti più alti grazie ai Canozi da Lendinara e ai loro collaboratori. Numerose sono ancora le opere di intaglio e di tarsia presenti in città, dal coro delle chiese di San Domenico e di San Giorgio, a quello del monastero di Sant’Antonio in Polesine; a quello esposto nel Museo Civico di Schifanoia, proveniente dalla distrutta chiesa di Sant’Andrea.